Ebbene si. Per la Chiesa è difficile ammetterlo, anzi difficilissimo, eppure è successo. Parole di chi (una suora missionaria) non avrebbe nulla da perdere a dire il contrario: Papa Francesco lo ha detto già due volte. Ha detto (nel 2015 e nel 2018) che il preservativo e ogni altro dispositivo contraccettivo “transitorio, reversibile, non abortivo né distruttivo delle capacità di procreazione” è ammissibile durante i rapporti sessuali.

Poiché non può permettersi di sbandierarlo ai quattro venti, lo avrebbe detto a bassa voce in privato, rassicurando così la carmelitana preoccupata dal dilagare delle malattie sessualmente trasmesse e delle gravidanze indesiderate tra le disperate donne argentine delle classi più umili. L’ufficio stampa del Vaticano avrebbe invece smentito tutto. E questo per il semplice fatto che se queste parole fossero state effettivamente attribuite al Papa vivente, cozzerebbero con il magistero della Chiesa espresso dall’enciclica Humanae vitae.

Dunque la Chiesa è sempre lì: ieri come oggi, nei secoli dei secoli, dice no alla contraccezione, alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, alle pillole e ai preservativi. Naturalmente dice di no anche ad aborto, sterilizzazione, castrazione e persino ad ogni forma di sesso protetto.

Perché la Chiesa è contraria alla contraccezione?

Diciamocela tutta: l’unica unione concepita dalla Chiesa è quella tra marito e moglie. I quali se, per ragioni serie, decidono di non avere figli, possono fare un’unica cosa: ricorrere alla “pianificazione familiare naturale”. Sebbene non abbia alcuna efficacia contraccettiva, uomo e donna possono decidere di avere rapporti solo nei periodi non fertili (che non sempre per tutti sono uguali, né per la stessa donna restano uguali nel corso della vita). Se in una coppia uno dei partner ha l’HIV o una malattia sessualmente trasmissibile, l’unico rimedio è invece l’astinenza. Totale, completa, perfetta.

Possibile che la Chiesa sia così cieca da non accorgersi del ruolo dei preservativi, soprattutto nei Paesi in cui la prevenzione delle gravidanze indesiderate è fondamentale? Certo che no. Ma per questioni “morali”, dal 1968 non si torna più indietro.

L’anno della rivoluzione sessuale, quello in cui la storia dell’emancipazione sessuale ha raggiunto il suo punto di svolta, è anche l’anno in cui la Chiesa ha piantato il paletto più importante sul tema. Si tratta dell‘Enciclica Humane Vitae, scritta da Papa Paolo VI e pubblicata il 25 luglio 1968. All’articolo 14 l’Enciclica cita espressamente: «è esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione».
Non c’è stata più storia, anche dopo le pandemie di Aids dei decenni successivi. Per il mondo Cattolico, in via ufficiale, sarà sempre così: l’unione del corpo e dello spirito deve compiersi all’interno del sacramento matrimoniale ed esclusivamente in funzione della procreazione.

In altri termini il rapporto sessuale è ammesso solo dopo le nozze e solo se finalizzato al concepimento di figli.

Il preservativo e la contraccezione da Paolo VI a Giovanni Paolo II

La campagna anti-condom del Vaticano prese il via così, nel glorioso 1968 di Woodstock e del motto “peace-and-love”.

Papa Paolo VI firmò quell’enciclica che avrebbe inchiodato il mondo cattolico in barba al parere della commissione incaricata di studiare la questione, che a maggioranza dei suoi membri aveva votato per la liberalizzazione dei contraccettivi.

Il suo successore, Giovanni Paolo I, avrebbe voluto “aggiustare le cose”: a più riprese aveva manifestato l’intenzione di sdoganare i temi della paternità responsabile e del ricorso agli anticoncezionali.

Eloquente la frase da lui pronunciata nel corso di una conferenza sull’amore coniugale e sull’educazione familiare, andata in scena due mesi prima che l’Humanae Vitae vedesse la luce, allorché era ancora vescovo: «Speriamo che il papa possa dare una parola liberalizzatrice».

Il malore improvviso (e, a detta di qualcuno, sospetto) che lo strappò alla vita dopo appena 33 giorni di pontificato, impedì però a Papa Luciani di portare avanti il processo di rinnovamento auspicato da tante coppie.
E così la linea ultraconservatrice di Paolo VI prese il sopravvento, seguita anche da Giovanni Paolo II, che si dichiarò sempre contrario all’impiego dei mezzi artificiali di controllo delle nascite per far fronte al problema della sovrappopolazione.

Nell’enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987 Karol Wojtyla definì allarmante il fatto che molti paesi cercassero di ridurre il tasso di natalità, contraddicendo in tal modo non solo la propria identità religiosa, ma anche la vera natura del proprio sviluppo.
Nemmeno l’epidemia di Aids scoppiata negli anni Ottanta indusse il papa polacco a mostrarsi più indulgente verso il profilattico. Queste le parole da lui spese in merito nel 2005: «Bisogna combattere la malattia in modo responsabile», ossia «aumentando la prevenzione, soprattutto mediante l’educazione al valore sacro della vita e la formazione a una corretta pratica della sessualità, che presuppone castità e fedeltà».

Il pensiero di Benedetto XVI sulla contraccezione 

L’ascesa al soglio apostolico di Joseph Ratzinger, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l’organo incaricato di vigilare sulla purezza dell’insegnamento ecclesiastico) sotto Giovanni Paolo II, non ha fatto altro che rafforzare la condanna vaticana all’indirizzo del preservativo.

“Il pastore tedesco”, come lo ha definito il quotidiano di sinistra Il Manifesto, ha subito messo in chiaro le cose con il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale trova conferma la censura di qualsiasi pratica sessuale «che si proponga di impedire la procreazione». E per quanto riguarda la strategia da adottare nella lotta all’Aids? Be’, Benedetto XVI ha scelto nientemeno che il 1° dicembre 2005, vale a dire la XVIII Giornata Mondiale contro l’Aids, per ribadire quali debbano essere le armi per contrastare la malattia: «continenza, fedeltà nel matrimonio, educazione, assistenza ai poveri».

Nemmeno un cenno, invece, all’uso del condom, che continua dunque a non avere diritto di cittadinanza nemmeno come strumento di prevenzione sanitaria. Del resto le idee dell’attuale Santo Padre erano note a tutti fin dai tempi in cui ricopriva la carica di cardinale.

Tempi in cui aveva rilasciato dichiarazioni come questa: «Cercare una soluzione al problema del contagio promuovendo l’uso di profilattici significherebbe intraprendere un cammino non solo insufficientemente affidabile dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto inaccettabile dal punto di vista morale. Tale proposta di un sesso “sicuro” o “più sicuro”, come dicono, ignora la vera causa del problema, cioè il permissivismo che, nella sfera sessuale, corrode la fibra morale della gente».

Il dossier sul preservativo.

Ci è voluta la pubblicazione degli ultimi dati sulla diffusione dell’Aids per indurre la Chiesa Cattolica a riconsiderare il proprio atteggiamento. 40 milioni di persone infette nel mondo, 4,3 milioni di nuovi contagi e 2,9 milioni di decessi registrati solo nel 2006. Questa la fotografia di un dramma che, secondo le stime dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), avrebbe portato su tre a morire prima dei trent’anni nel 2010.
Davanti a numeri tanto eclatanti Ratzinger si decide a stimolare una nuova riflessione e ha commissionato al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute uno studio approfondito sull’opportunità di un moderato permissivismo in tema di profilattici (per esempio approvandone l’utilizzo nei rapporti tra due coniugi, di cui uno sieropositivo).

«Si tratta di stabilire se alcune eccezioni per fatti nuovi come l’emergenza Aids siano conciliabili con i principi della morale», fecero sapere dalla curia in sede di presentazione del dossier, quasi duecento pagine redatte con l’ausilio sia di teologi che di scienziati, per anni al vaglio della Congregazione per la dottrina della fede.
Come per altri argomenti, anche in quel caso fu necessario rispolverare l’efficace similitudine coniata nel giugno 2006 dal reverendo James Keenan, docente di etica al Boston College: «Il Vaticano è come un sommergibile. Ha sollevato il suo periscopio, ha dato un’occhiata in giro e poi lo ha fatto riemergere».

Papa Francesco e il Preservativo

Torniamo adesso da dove eravamo partiti: da Papa Francesco e dalla sua posizione sui preservativi.
Era il 2015, quando Papa Bergoglio, il più rivoluzionario e progressista dei pontefici degli ultimi decenni, rispondeva ai giornalisti di ritorno da un viaggio in Africa, pressappoco con queste parole: «Il preservativo per arginare il diffondersi dell’Aids? È uno dei metodi».

Naturalmente il pontefice argomentò: «La domanda è troppo piccola, non è questo il problema. Mi fa pensare a quando chiesero a Gesù se è possibile guarire il sabato. Le guerre sono il motivo di mortalità più grande. Non pensare se è lecito o no guarire il sabato. Io dirò all’umanità: fare giustizia. E quando tutti siano guariti, quando non ci sia ingiustizia, possiamo parlare del sabato».

Dunque, per il momento, limitatamente al fatto che l’umanità sta cercando di sconfiggere l’Aids e che il preservativo potrebbe essere uno strumento fondamentale, parlare del preservativo è possibile. Come guarire il sabato finché non ci saranno più malati. Poi, se ne potrà parlare.
A gennaio 2018, un’altra rivelazione: il Papa, secondo il teologo Sandro Magister, principe dei vaticanisti, sarebbe impegnato in una rilettura dell’enciclica del ’68. Francesco sarebbe già pronto a liberalizzare la pillola.

Sul suo blog Settimo Cielo Magister avrebbe annunciato: «A mezzo secolo di distanza, l’enciclica contro i metodi artificiali di regolazione delle nascite che ha segnato il momento più drammatico del pontificato di Paolo VI, cede ormai il passo a una sua radicale re-interpretazione, a un “cambio di paradigma” indubitabilmente voluto e incoraggiato da papa Francesco in persona».

Senza voler mutare la dottrina, Francesco è pronto a reinterpretarla, addomesticarla alle nuove esigenze del popolo cattolico: via libera, dunque, al condom e al controllo delle nascite.

La nuova posizione della Chiesa, è stata pubblicamente chiarita da uno dei teologi più accreditati presso il papa, Maurizio Chiodi, professore di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e membro di fresca nomina della Pontificia Accademia per la Vita.

Durante una conferenza alla Pontificia Università Gregoriana, don Chiodi è stato chiaro: poiché i «metodi naturali di fecondità» sono impossibili o impraticabili, «occorre trovare altre forme di responsabilità: queste “circostanze” richiedono altri metodi per la regolazione delle nascite. In questi casi, l’intervento “tecnico” non nega la responsabilità del rapporto generante». Per essere più chiaro, subito dopo ha affermato che «la tecnica, in circostanze determinate, può consentire di custodire la qualità responsabile dell’atto sessuale». E fa nulla che la Sentenza ribalti l’enciclica di Paolo VI, chiamandola solo una “rivisitazione”: il nuovo corso della Chiesa è quello di guardare in faccia la realtà. E nella realtà ci sono ancora l’HiV (tra l’altro in crescita), le malattie sessualmente trasmesse, le tante coppie che non possono permettersi un figlio perché nemmeno hanno un lavoro o se ce l’anno non vogliono perderlo.

Il Sommergibile del Vaticano è riemerso, questa volta con intenti più seri, non solo perlustrativi. Per quanto riuscirà a stare a galla, lo vedremo prossimamente.