Dal 5 febbraio 2001 il Dhhs (Departement of Health and Human Services) ha modificato le direttive sanitarie in materia di farmaci antiretrovirali, affermando che forse non è il caso di somministrarli a pazienti asintomatici. Questo perché non è chiaro se i vantaggi derivanti dal loro utilizzo bilancino gli effetti tossici.

Il nuovo indirizzo prevede che la terapia sia prescritta al presentarsi di qualche sintomo della malattia e non a seguito della sola condizione di sieropositività.
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Siamo dunque di fronte a un’ammissione importante: il sieropositivo non è un malato e non corre alcun rischio. Ma come si è arrivati a tale conclusione? Si deve considerare che il primo test Hiv è datato 1984, anno in cui sono comparsi i primi sieropositivi destinati ad ammalarsi, si diceva allora, entro uno-due anni.

Il tempo, però, ha raccontato un’altra verità: la vita dei sieropositivi che hanno scelto di non assumere farmaci antiretrovirali si è allungata spontaneamente.Molti di loro sono invecchiati in salute, costringendo gli studiosi a modificare le proprie teorie sul periodo di latenza, che ora è addirittura stimato in decine di anni.

Pertanto le direttive sanitarie che prevedevano la terapia da subito non sono più giustificate, né è sostenibile che i pazienti rimasti in vita sarebbero senz’altro morti senza il trattamento antiretrovirale.
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La domanda che i dissidenti si pongono è: come mai i soggetti asintomatici positivi al test che hanno accettato la terapia sono quasi tutti morti, mentre quelli che non si sono curati stanno bene? In altre parole essi accusano l’establishment sanitario di adottare terapie che portano spesso alla morte malati “inventati”, persone sane che hanno avuto la sfortuna di risultare positive al test Hiv.