L’estrazione del lattice:

Il processo di produzione dei preservativi ha inizio con l’estrazione del lattice dall’hevea, arbusto appartenente alla famiglia delle Euforbiacee, meglio conosciuto come albero della gomma.

Pur essendo originaria dell’Amazzonia (il suo nome completo è Hevea brasiliensis), questa pianta è coltivata soprattutto nel Sudest asiatico, dove gli inglesi la introdussero verso la fine del XIX secolo nell’intento di sfruttarla a fini commerciali. Consistente è anche la sua presenza in alcuni paesi Africa tropicale, mentre i tentativi di farla attecchire in altre zone del Sud America non hanno prodotto risultati soddisfacenti.

A prima vista colpisce per l’altezza, che può raggiungere i trenta metri, ma la sua caratteristica principale è la presenza del lattice nei canali lactiferi della parte esterna e della zona liberiana. Tale sostanza fornisce il caucciù di hevea o para, che ne fa parte per il 30-40%. Per estrarla è necessario praticare nella corteccia delle incisioni diagonali lunghe un terzo o metà dell’intera circonferenza del tronco. Il liquido che ne fuoriesce viene poi raccolto in piccole ciotole legate al fusto.

La procedura descritta permette di ricavare circa 30 ml di lattice da ogni incisione. Nelle piantagioni si coltivano 200-250 alberi per ettaro, quanto basta affinché ogni ettaro assicuri una resa annua di almeno 450 kg. Le piante cominciano a essere sfruttate a partire dai cinque-sei anni di età poiché gli esemplari adulti forniscono una produzione maggiore.

La scoperta dell’hevea da parte degli europei risale al 1735, anno nel quale il francese Charles de la Condamine visitò il tratto superiore del fiume Orinoco, in Venezuela. Nello stato di Amazonas, vicino alla città di Esmeralda, egli notò che gli indigeni realizzavano bottiglie in caucciù, utilizzando il lattice che colava dal tronco di un albero. Dopo aver creato uno stampo di argilla attorno a un bastone, lo immergevano nel lattice fresco. Quando lo stesso si induriva, staccavano l’involucro e la bottiglia era pronta.

Una domanda sorge spontanea: l’ampio ricorso al lattice naturale (non solo per la produzione dei preservativi) potrebbe provocare l’estinzione dell’hevea? La risposta è no. Le incisioni praticate sugli alberi, infatti, non ne danneggiano la crescita. E poi, a detta degli stessi ambientalisti, lo sfruttamento delle piante favorirebbe addirittura la riduzione del loro abbattimento.

Si spiega così la decisione del governo brasiliano di produrre condom con la gomma proveniente dalla foresta amazzonica. Decisione motivata anche da altre due esigenze: creare reddito per gli indios che vivono nel grande ecosistema e limitare la dipendenza del paese dall’importazione del suo principale alleato nella lotta contro l’Aids.

La purificazione e il compound:

Una volta raccolto, il lattice deve essere purificato. È questa la prima fase della sua lavorazione, che ha luogo in condizioni d’igiene assoluta: l’aria degli ambienti adoperati è accuratamente filtrata per evitare la contaminazione dovuta al pulviscolo atmosferico o ad altre sostanze, mentre il personale deve utilizzare indumenti analoghi a quelli indossati in sala operatoria.
Essendo un prodotto naturale, il lattice può coagulare o diventare acido. Per impedire che ciò accada, la materia prima dei preservativi è trattata con elementi additivi quali antiossidanti, acceleranti del successivo processo di vulcanizzazione, stabilizzatori e conservanti.

Il dipping:

I preservativi prendono forma durante la fase denominata dipping.
Nelle vasche a temperatura controllata contenenti il lattice trattato sono introdotte sagome di vetro o porcellana. Quando riemergono, queste ultime sono rivestite da una pellicola quasi invisibile e, ruotando su sé stesse, garantiscono la distribuzione uniforme del lattice sulle pareti. Dopo un primo essiccamento a raggi infrarossi, le sagome subiscono una nuova immersione, al termine della quale le estremità aperte sono arrotolate a formare una cintura.

Nel successivo processo di vulcanizzazione la gomma si lega chimicamente allo zolfo mediante riscaldamento in appositi forni essiccatori. Se eseguita accuratamente, tale operazione consente di ottenere un prodotto finito di alta qualità. A questo punto non rimane che staccare i profilattici dalle matrici, abbassandone la temperatura con un getto d’acqua ad alta pressione.

Il testing:

Una volta lavati e asciugati, i preservativi devono superare una serie di rigorosi controlli, rientranti nella fase denominata testing.
Il passaggio attraverso un campo elettrico ad alto voltaggio permette di individuare l’eventuale presenza di fori o zone di spessore non uniforme.

Si provvede quindi all’eliminazione degli esemplari difettosi, mentre quelli “promossi” accedono alle prove successive. Tra queste va ricordato il gonfiaggio con aria compressa dei profilattici fino al punto di rottura, che ha lo scopo di accertarne l’elasticità, ma anche la resistenza alle pressioni più elevate.

Superato lo stadio dei test elettronici, che riguarda il 100% della produzione e serve a salvaguardare l’affidabilità di ogni singolo condom, si provvede a prelevare alcuni esemplari per un’ulteriore verifica di qualità (testaggio a campione). Dopo averli riempiti con 300 ml d’acqua a temperatura ambiente e tenuti sospesi per qualche minuto, li si avvolge nella carta assorbente per scoprire eventuali fughe di liquido.

Infine un certo numero di condom è fatto invecchiare artificialmente mediante esposizione a una temperatura di 70 gradi per 48 ore. Un sistema che consente di constatarne lo stato di conservazione al termine del ciclo di vita quinquennale.

Il foiling packing:

L’ultima fase del processo produttivo è il foiling packing, che consiste nel confezionamento in camera sterile del prodotto finito.Ogni preservativo è sigillato in un involucro di alluminio per scongiurare possibili contaminazioni microbiologiche.

È infatti provato che l’alluminio garantisce la miglior protezione possibile dei profilattici da ossidazione e raggi ultravioletti (l’esposizione prolungata all’aria e alla luce UV causano perdita di elasticità e conseguente fragilità, aumentando il rischio di cedimento durante l’uso). Non a caso l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha reso obbligatorio l’impiego esclusivo di questo materiale, escludendo i compositi di carta o plastica.

Al momento di confezionare il condom si provvede anche a immettere una goccia di lubrificante siliconico, che si distribuisce in maniera uniforme. Nel caso dei condom aromatizzati (identici agli altri per caratteristiche tecniche, ma colorati e al gusto di frutta), poi, al lubrificante sono aggiunti gli aromi, mentre la colorazione del lattice è resa possibile dall’inserimento di sostanze naturali prima della vulcanizzazione.

Esaurite queste operazioni, si passa alla formazione delle confezioni multiple, le quali devono recare tutte le indicazioni nella lingua del paese di destinazione. Lo stesso vale per il foglietto di istruzioni, che la vigente normativa Ue raccomanda di integrare con illustrazioni riguardanti il corretto uso del profilattico.

Tutti i preservativi in commercio devono rispondere a requisiti previsti dalla normativa europea EN 600/1996 (lunghezza, larghezza, spessore, impermeabilità, capienza, resistenza allo strappo). Sono inoltre disciplinati come dispositivi medici dalla direttiva 93/42 CE. Si consiglia pertanto di acquistare sempre prodotti recanti i marchi CE, MD o OK, accompagnati dal relativo foglietto illustrativo e dalla data di scadenza, che è fissata in cinque anni.

Se conservati in luogo fresco e asciutto, i profilattici non presentano problemi di integrità durante il loro ciclo vitale. È dunque preferibile evitare di tenerli nel portafogli o nel vano portaoggetti dell’automobile. Meglio un astuccio che li protegga dalla luce e da oggetti appuntiti o taglienti. A tal proposito esistono in commercio allegri e discreti portapreservativi, che assicurano una perfetta conservazione.

Video illustrativo

Una produzione molto concentrata:

I preservativi possono essere realizzati solo in stabilimenti con un’elevata capacità produttiva perché le vasche contenenti il lattice devono funzionare 24 ore su 24.

Anche le fabbriche di dimensioni più ridotte ne “sfornano” diverse decine di milioni ogni anno. La materia prima è di provenienza soprattutto asiatica, ma i tre principali produttori mondiali sono il Giappone l’Inghilterra e gli Stati Uniti.