La controinformazione sull’Aids sostiene che dei test Hiv è meglio non fidarsi.

Una tesi fondata su tre considerazioni.

1) Prima obiezione: I test non sono specifici

Questo punto riguarda il numero di risultati negativi che il test produce in persone sicuramente non infette. In altre parole un test con specificità del 100% risulta sempre negativo quando l’infezione è assente. Non ci sono “falsi positivi”.

Ora, i test Hiv si basano sul principio secondo il quale la produzione di anticorpi rivela necessariamente l’esistenza di una proteina del virus, e quindi il virus stesso. Ma un test che non sia specifico risulterà positivo anche in presenza di anticorpi diversi da quelli che dovrebbe rilevare.

Ed è appunto ciò che accade con i test Hiv. La letteratura medica ha infatti registrato migliaia di casi in cui persone sieronegative erano malate di Aids (cioè presentavano i sintomi, ma il test era negativo) e altrettanti di sieropositività (test positivo) in assenza di sintomi dell’Aids. La reazione al test, evidentemente capricciosa, può dunque legarsi alla salute come alla malattia ed è spesso associata a un aumento degli anticorpi.

Quest’ultimo fenomeno può verificarsi, però, in molte situazioni che nulla hanno a che fare con l’Aids. Per esempio a causa di malattie autoimmuni, di infezioni croniche, di malaria, di parassitosi e, talvolta, anche per motivi banali come una vaccinazione antinfluenzale.

2) Seconda obiezione: Non esiste un modo standard di interpretarli

Ovvero l’inesistenza di un modo standard di interpretare il test. Per avere valore un test anticorpale deve essere standardizzato. Deve avere, cioè, lo stesso significato per tutti i pazienti, in tutti i laboratori e in tutti i paesi.

La letteratura scientifica, tuttavia, non ha mai pubblicato uno standard di positività dei test Hiv. E non lo ha fatto perché il test: a) può non reagire con tutte le proteine dell’Hiv; b) può reagire con proteine non appartenenti all’Hiv; c) può fornire risultati differenti su campioni di sangue ottenuti dallo stesso paziente in momenti diversi.

Senza contare che il tipo di proteine rilevate può variare con la temperatura e con la concentrazione dei reagenti chimici usati nel test.

3) Terza obiezione: I risultati non sono riproducibili

La terza obiezione riguarda infine la riproducibilità. Utilizzando un singolo campione di sangue, le bande di proteine rilevate da test ripetuti varie volte o effettuati da laboratori differenti dovrebbero essere le stesse (o assai simili). È invece accaduto che le bande risultanti da un siero testato più volte mostrassero variazioni quasi estreme sia da un laboratorio all’altro, sia da un esame all’altro nel medesimo laboratorio.

Un altro problema consiste nel fatto che, ripetendo più volte un test anticorpale su persone inizialmente risultate sieropositive, molte di loro finiranno, prima o poi, per rivelarsi sieronegative. Il test ufficiale di screening è l’Elisa, che ha un tasso di falsi positivi astronomico.

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Perché un esame anticorpale sia scientificamente valido dovrebbe invece soddisfare questi tre criteri.

Eppure i Cdc accettano un singolo caso di Elisa positivo senza conferma come prova dell’avvenuta infezione. In pratica un solo test Elisa positivo, unito a una delle malattie indicatrici dell’Aids, basta per meritarsi una diagnosi ufficiale di Aids.

Ovviamente quella dei dissidenti è una teoria che non poggia su base scientifica. In ogni caso chiunque abbia il sospetto di aver avuto un rapporto, ovviamente non protetto, a rischio, dovrebbe effettuare il test e/o rivolgersi al medico.