Leggende metropolitane e santoni di strada propongono assurde terapie alternative a base di peperoncino e rapporti sessuali con donne vergini per purificare il sangue infetto.

In Sudafrica le statistiche ufficiali parlano di 50.000 denunce di stupro all’anno, ma pare che la cifra delle aggressioni non denunciate sia quattro volte superiore: altre stime parlano invece di un milione di casi l’anno. Le vittime appartengono a qualunque target di età, etnia e classe sociale, ma ci sono delle categorie particolarmente a rischio: nel 10% delle violenze le vittime sono donne gay, stuprate per sfregio e con la motivazione da parte degli aggressori di averle violentate per renderle eterosessuali. Anche in Italia non sono mancati casi simili, come quello in Versilia nel 2006: in Sudafrica però l’opinione pubblica non si è schiera dalla parte della vittima. Nel 2005, il vicepresidente sudafricano Jacob Zuma fu accusato di aver violentato Fezeka Kuzwayo, una ragazza lesbica figlia di un suo amico e già vittima di altre tre violenze sessuali a causa delle quali aveva contratto l’HIV; l’uomo, che aveva già precedenti penali per corruzione, ammise il rapporto sessuale ma fu poi assolto dalle accuse in quanto il sesso fu definito consenziente, con grandissimo sostegno dell’opinione pubblica. Zuma è poi diventato presidente dell’African National Congress, e la donna ha trovato asilo politico in Olanda. Oltre allo stupro “correttivo” delle ragazze gay, c’è poi quello considerato “sanitario”: come rimedio per combattere l’AIDS, altra piaga del Paese, leggende metropolitane e santoni di strada propongono assurde terapie alternative a base di peperoncino e rapporti sessuali con donne vergini per purificare il sangue infetto. Teoria nata nell’Europa vittoriana quando dilagava la sifilide, la cosiddetta “cura della vergine” ha come risultato lo stupro, nonché il contagio, di bambine sempre più giovani per avere la certezza della loro illibatezza: in Sudafrica ed in Zimbabwe, spesso le vittime sono neonate. Data l’emergenza delle statistiche, qualche anno fa è stato lanciato sul mercato il preservativo antistupro, una specie di trappola di gomma. Il nome del diabolico marchingegno è Rapex (dall’inglese “rape”, stupro), ed è stato ideato nel 2005 dalla sessantenne sudafricana Sonette Ehlers. Si tratta di una specie di preservativo usa e getta che la donna indossa come un tampax prima di uscire di casa, ed è dotato di piccoli uncini all’interno per aderire in modo molto doloroso al pene dell’aggressore, che lascerà così scappare la sua vittima e dovrà necessariamente andare in ospedale per farlo togliere con un intervento chirurgico. È in effetti grosso modo questo l’uso preventivo che veniva fatto delle famose cinture di castità, indossate, più che dalle mogli in attesa a casa del marito in guerra, dalle donne in viaggio che temevano di essere assalite dai briganti. Ma, anche se evita lo stupro completo e la trasmissione di malattie veneree, il Rapex agisce solo quando c’è già stata l’aggressione, che rimane comunque un’esperienza traumatica per la vittima; a causa delle caratteristiche anatomiche, poi, non sembrerebbe comunque particolarmente indicato per le bambine. Stuprare una donna trasmettendole il virus dell’HIV equivale ad un omicidio, con la differenza che le si rovinano anche gli anni che le restano da vivere; la violenza sessuale è uno dei pochi crimini per cui non è possibile trovare né attenuanti né giustificazioni, a maggior ragione quando è una pratica premeditata, anche se è causata dall’ignoranza e dal pregiudizio. fonte: ccsnews.it