Il 20 maggio 1983, in un articolo pubblicato sulla rivista Science, un team di ricercatori francesi guidato dal professor Luc Montagnier (foto) descrive un nuovo virus, diverso da quelli sino ad allora conosciuti e sospettato di essere responsabile dell’Aids. Isolato da un paziente infetto, tale virus è inizialmente denominato Lav e associato alla linfoadenopatia, con riferimento al gonfiore ghiandolare che anticipa il decorso della malattia.

L’anno successivo l’equipe statunitense del professor Robert Gallo mette a punto le diagnostiche metodiche che consentono di identificare i soggetti contagiati. Mai la scienza è stata così rapida nella scoperta di una malattia, nell’identificazione della sua origine e nel gettare le basi per il suo trattamento. Fatto, questo, che induce Margaret Heckler, segretario di Stato Usa per la Salute, a un incauto ottimismo. «Speriamo di avere un vaccino pronto per il test nel giro di due anni», dichiara nell’aprile del 1984, attribuendo oltretutto ai suoi connazionali la scoperta del virus.

Il tempo passa impietoso e agli esperti non rimane che prendere atto della straordinaria capacità dell’agente patogeno, ora ribattezzato Hiv, di sfidare tutti i modelli noti e di aggirare le difese immunitarie.

Il nemico, insomma, si rivela più forte del previsto, mentre francesi e americani si accapigliano su chi lo abbia individuato per primo. La loro lunga rivalità approda in tribunale e si conclude nel 1987 con un accordo che accontenta tutti. Nel 2000, infine, Montagnier e Gallo sono insigniti entrambi del prestigioso premio Principe delle Asturie, che ne sancisce la paternità del virus in condominio.

Una cosa è certa: a 25 anni dalla comparsa di quel famoso articolo su Science, l’Hiv/Aids non è ancora stato sconfitto e la strada da percorrere per arginarne la diffusione appare sempre in salita. La conferma è nell’amaro commento rilasciato oggi da Luc Montagnier: «Avrei voluto celebrare l’anniversario della fine dell’epidemia, anziché ricordare la pubblicazione di un articolo».