”Sappiamo che errare è umano, ma l’ipotesi Hiv/Aids è un errore macroscopico. Lo dico forte e chiaro per mettere in guardia la gente”. Queste sono le parole del professor Kary B. Mullis, premio Nobel per la chimica nel 1993 per la cosiddetta Pcr (reazione a catena della polimerase).

Quasi dieci anni fa il movimento del dissenso raccolse oltre 700 adesioni tra virologi, infettivologi, epidemiologi e altri specialisti (tra cui altri due premi Nobel), tutti indignati per quella che considerano una colossale mistificazione-speculazione imbastita attorno al tema dell’Aids. Questi sostenevano che, nonostante il clima di grande allarmismo creato dalle autorità sanitarie alla fine degli anni Ottanta, l’epidemia fosse assai meno comune di quanto si pensi. In occidente, infatti, la sua diffusione pare fosse circoscritta a pochi gruppi a rischio.

La sopravvalutazione del pericolo non era però l’unico tasto sul quale battevano i dissidenti. Sotto accusa era anche la teoria ufficiale, a loro dire, incapace di spiegare quali fossero le conseguenze del virus HIV sulla salute e la reazione del copro al contagio.

Secondo i dissidenti della controinformazione le conseguenze del virus HIV erano ancora da approfondire e da chiarire, di conseguenza l’AIDS, come malattia, è stata usata per riassumere una serie di patologie che in casi normali risulterebbero semplici influenze.
Più precisamente: “Aids” come termine veniva attribuito a un insieme di 29 affezioni comuni (come polmonite, micosi, herpes simplex, diarrea, alcuni tipi di cancro, salmonella e tubercolosi) ovvero un termine calderone, in cui rientravano patologie eterogenee e disparate.
A favore della tesi era il fatto che queste patologie si manifestano in soggetti il cui organismo produce anticorpi teoricamente collegati all’HIV.

Se un individuo risulta positivo al test ma non presenta i sintomi di tali affezioni, è considerato malato asintomatico. L’eventuale, successiva comparsa dei sintomi lo classificherà, invece, come malato conclamato.
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LEGGI: Test diagnostico per l’HIV
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Ma secondo i dissidenti in un soggetto sieropositivo la polmonite si chiamava Aids, mentre la polmonite rimaneva tale nei soggetti sieronegativi.

Nel 1993 i Cdc (Center for Disease Control) hanno diffuso una nuova definizione di Aids, che include persone con una quantità di linfociti T pari a 200 o meno. Ciò ha fatto sì che il numero di malati negli Stati Uniti raddoppiasse in una sola notte. Non tutte le nazioni, però, hanno adottato il criterio americano del conteggio dei linfociti T per l’individuazione dell’Aids. Il Canada, ad esempio, non lo ha fatto, con la conseguenza che il 25% dei soggetti ai quali è stato individuato l’Aids negli Usa, non sarebbe da considerare infetto nello stato confinante.

Ora invece, grazie ai test e alla ricerca, si può sapere e valutare per certo la presenza del virus HIV nel sangue e/o degli anticorpi prodotti dall’organismo per difendersi. La sieropositività si individua attraverso la presenza di costituenti virali e degli anticorpi.