Giovani malati di sesso? Ma quando mai.

Anzi, per tutti gli under 30 – disinibiti è vero – il sesso è molto più un parlare che un fare.

Secondo la recente indagine Eurispes “Sesso, erotismo e sentimenti: i giovani fuori dagli schemi”, per i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni la parola sesso evoca soprattutto teoria. Rispetto ai loro genitori, che ne sapevano certamente di meno di loro in quanto a nozioni, praticano più raramente e collezionano meno relazioni.

Ecco il paradosso: pur avendo molti più strumenti a disposizione, giovani si limitano a sognarsi libertini. Nella realtà si limitano al sexting (l’invio via web di immagini hot), all’uso di dating-app e ogni tanto sperimentano i sex toys, prevalentemente in solitaria.

Forse proprio perché più consapevoli di ciò che il sesso comporta anche in termini di identità, si trattengono, evitano, rimandano l’incontro con la vita adulta. E spesso, anche dopo i 18 anni, dicono di no anche quando vorrebbero.

Rispetto ai loro genitori, però, sono più evoluti: nel rapporto con l’altro danno e cercano accoglienza.   «Non scelgono l’uomo o la donna – sottolinea Alessandra Graziottin, ginecologa, psicoterapeuta e direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano – ma scelgono la persona, senza fare distinzioni sessuali, ideologiche, religiose, economiche. I millennials guardano esclusivamente alla centralità della persona al loro fianco. Un concetto assente nelle generazioni precedenti e che diluisce i confini tra etero, omo e bi-sessualità».

Il contraltare? Non conoscono il gusto dell’attesa, che per tutti gli psicologi e i sessuologi, è la fonte stessa da cui si alimenta il desiderio.   «La loro, quindi, diventa bramosia, famelicità, smania. Si è persa l’arte del sogno, l’esaltazione nutrita dalla visione fantastica, l’eccitazione che nasce dall’anticipazione. I Millennials assecondano l’urgenza con un’istintualità che porta, inevitabilmente, a sminuire l’atto sessuale».