A Torino ha aperto i battenti il 3 settembre, ma per tutto il mese di ottobre è già sold out. Si chiama Lumidoll ed ha un nome gentile per indicare qualcosa di mai visto in Italia: la prima casa chiusa legale, in cui si fa sesso solo con bambole al silicone. Ce ne sono per lui e per lei, di tutte le dimensioni, con fattezze talmente perfette da sembrare naturali. Al tatto, spiega chi le ha provate per la prima volta, sono anche meglio della pelle vera.
In Germania, l’equivalente del Lumidol è il Bordoll. Il gioco di parole tra il tedesco “Bordell”, bordello, e l’inglese “doll”, non lascia spazio alla fantasia: la casa delle bambole ricorda molto un postribolo degli anni andati e anche le bambole, generose in tutti i sensi, non si atteggiano a donne raffinate. Chi ha fondato il Bordoll è una donna, Evelyn Schwarz, fondatrice e proprietaria, che ha attinto l’idea da quello che accade in Giappone, dove tra plastica e tecnologia ci sguazzano bene e dove il sesso con le bambole al silicone in una casa chiusa non è più da tempo una novità per curiosi.
Le bambole «Non sentono nulla, sono sempre belle, non si ammalano, non si lamentano, non trasmettono malattie perché vengono sottoposte a processi di disinfezione accuratissimi» spiegano i titolari delle attività. Ma c’è chi, dal lontano 2015, si oppone al sesso con le bambole e con i robot.
La Campaign Against Sex Robots (Casr) denuncia gli effetti nocivi sulla società dei robot sessuali, che spingerebbero gli uomini a considerare il corpo femminile come un oggetto e le prostitute come esseri inferiori.
Ma, attivisti o meno, la moda sembra essere solo iniziata. Uomini e donne, giovani e adulti, etero ed omosessuali sono in coda da qui all’inverno perché vogliono provare l’ebrezza di fare sesso con le bambole al silicone. Anche se costa un po’ (100 euro l’ora, 80 per la mezza), fanno impazzire. Sarà perché il sesso in carne ed ossa ha perso di qualità ed è ormai meglio far da sé? O si tratta semplicemente di pigrizia emozionale? Agli psicologi l’ardua sentenza.