HiV e diritto al lavoro: tutto quello che c’è da sapere

Ci sono oltre 100.000 persone in Italia che sanno di vivere con l’HiV. E la maggior parte di loro lavora come tutti gli altri. Ha una occupazione perché l’Hiv si trasmette solo in 3 modi (sesso, parto o allattamento, ingresso in circolo di sangue infetto) e il lavoro non è uno di questi.
Chi ha l’HiV, se gode di buona salute, ha lo stesso diritto di tutti di trovare e mantenere un posto di lavoro. E lo stesso diritto di tutti a non rivelare al datore il proprio stato di salute.

Test HiV sul luogo di lavoro: si può richiedere e a chi?

C’è una legge basilare in tema di diritto al lavoro per i malati di HiV: ti tratta della Legge 135/1990, che ribadisce il principio costituzionale a non subire discriminazioni per motivi di salute. Specifica che il sieropositivo non può essere licenziato e che il test dell’HiV non può né essere richiesto come requisito per l’assunzione né dopo l’assunzione all’insaputa del dipendente. La legge 135/1990 prevede inoltre che sia garantito l’anonimato di chiunque si sottoponga, previo consenso informato, al test dell’Hiv.
Un successivo provvedimento – il decreto legislativo n.81 del 2008 – specifica che in qualche caso il test sul luogo di lavoro è consentito. Può essere sottoposto al test tuttavia solo il dipendente la cui mansione presenti evidenti rischi connessi ad una possibilità di contagio o trasmissione del virus. A stabilire la necessità di tale controllo, una tantum o periodico (la cosiddetta “sorveglianza sanitaria”), è il medico competente, che informa il lavoratore e ne richiede il consenso.
La legge spiega che la necessità di sieronegatività del lavoratore, dev’essere comunque indicata preventivamente nel documento di valutazione rischi, che ogni azienda è obbligata a redigere e aggiornare.

Il solo stato di sieropositività (peraltro conosciuto dal solo personale sanitario che effettuerà l’accertamento), in assenza di manifestazioni patologiche, non potrà comunque essere di per sé motivo di esclusione dall’impiego, tanto meno di ostacolo alcuno alla progressione di carriera.
In tutti i casi in cui il test non sia ritenuto esplicitamente necessario, come ribadisce la circolare a firma congiunta Ministero della Salute e Ministero del Lavoro del 2013 dal titolo “Tutela della salute nei luoghi di lavoro: Sorveglianza sanitaria – Accertamenti pre-assuntivi e periodici sieropositività HIV”, vale il divieto di richiedere lo stato sierologico dei propri dipendenti e delle proprie dipendenti.

Il lavoratore potrà pertanto chiedere risarcimento del danno nel caso di esito positivo del test HIV effettuato senza il suo consenso, per violazione del proprio diritto alla riservatezza.
Esistono tuttavia situazioni, anche in Italia, che violano arbitrariamente la legge e contro cui associazioni e petizioni combattono da anni. A chiedere test preventivi ai propri futuri dipendenti sono ad esempio le compagnie di volo Lufthansa Italia e Emirates, ma anche il Ministero della Difesa, i Vigili del fuoco e alcune Asl per tutto il personale sanitario. Per forze militari e di polizia l’accertamento di massa preventivo – anche in caso di concorsi – continua ad essere legittimo anche nei casi in cui non appare giustificato dal ruolo.

HiV e licenziamento: quando è possibile?

Nelle linee generali, nemmeno il lavoratore affetto da patologie correlate all’HiV tali da impedirgli lo svolgimento dell’attività lavorativa, può essere licenziato, se non al termine del cosiddetto “periodo di comporto”, il termine massimo previsto dai singoli Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Se non per motivi di natura tecnica o organizzativa non potrà nemmeno essere trasferito o cambiato di mansione, a meno che non perda del tutto l’idoneità psicofisica a svolgere il lavoro per cui è stato assunto.
La perdita di idoneità alle mansioni da parte del lavoratore con Hiv/Aids potrà portare al licenziamento solo se non esistono mansioni equivalenti o se è il lavoratore a farne richiesta.

I diritti del lavoratore sieropositivo

Oltre al diritto all’anonimato e alla riservatezza, cui fanno da corollario tutti i diritti relativi alla non discriminazione, al lavoratore sieropositivo è garantito, come a tutti, il diritto alla tutela della salute, inteso come diritto a essere curato e assistito senza pregiudizio per la posizione lavorativa acquisita.
Il datore di lavoro ha pertanto l’obbligo di attuare tutti gli interventi necessari ad assicurare l’incolumità fisica dei lavoratori, anche in presenza di comportamenti imprudenti.

Agevolazioni in ambito lavorativo

Sebbene la sieropositività, di per sé, non dia diritto ad agevolazioni, qualora le condizioni di salute siano particolarmente compromesse, è possibile richiedere alcuni benefici previo accertamento sanitario da parte degli organi competenti. Tra queste vi sono i permessi retribuiti (L.14/92) e l’invalidità civile, che da diritto sia ad agevolazioni per le assunzioni, sia a benefici economici (L. 68/99, integrata dal Dpr 333/2000).

  1. Permessi retribuiti
    Tutti i lavoratori dipendenti, sia nel settore pubblico che in quello privato, hanno il diritto di assentarsi dal lavoro con appositi permessi (retribuiti e non retribuiti), che valgono anche in caso di sieropositività. A regolarli è la legge 104/92 – “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che si può applicare sia a persone con HiV, sia a genitori o familiari che assistano persone affette da Aids.
    Oltre ai permessi retribuiti, chi ha diritto di avvalersi della legge 104 potrà scegliere, laddove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.
  2. Invalidità civile
    Può fare richiesta di invalidità civile, qualsiasi adulto in età lavorativa affetto da malattie e menomazioni permanenti e croniche, sia di natura fisica che psichica e intellettiva, non riconducibili a cause di lavoro, di servizio e di guerra. Solo in caso il grado di invalidità superi il 74% viene riconosciuta una pensione di invalidità.
    Nel caso ad una persona con Hiv/Aids sia invece riconosciuto un grado di invalidità pari o superiore al 46%, fino al 100% purché con residue capacità di lavoro accertate da una commissione medica, sarà invece possibile chiedere l’iscrizione alle liste delle categorie protette all’ufficio di collocamento per disabili, che promuoverà ogni azione finalizzata all’integrazione lavorativa.
  3. Benefici economici
    Il lavoratore in regola con il versamento dei contributi (per almeno 5 anni, di cui 3 negli ultimi 5) affetto da HiV e ritenuto disabile, potrà fare richiesta di benefici economici in caso di capacità lavorative ridotte e conseguente riduzione o azzeramento dell’orario di lavoro. A seconda della gravità della sua condizione fisica potrà richiedere un assegno di invalidità o una pensione di inabilità.
  4. Assegno di invalidità

    Nel caso la capacità lavorativa fosse ridotta a meno di un terzo, potrà ottenere per 3 anni, con eventuale rinnovo, un assegno integrativo, compatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa e non reversibile.
-    Pensione di inabilità
Nel caso di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi mansione, al lavoratore sarà invece assegnata una pensione di inabilità, incompatibile con qualsiasi attività lavorativa dipendente o autonoma e reversibile in caso di miglioramento delle condizioni di salute.