Cresce l’emergenza aborto fra le donne straniere che vivono in Italia: il 33% vi ha fatto ricorso almeno una volta. Viene utilizzato come metodo contraccettivo al pari della pillola, conosciuta dal 90% delle immigrate ma provata solo dalla metà, o del preservativo, molto noto ma scarsamente impiegato. Sono i dati di una ricerca pilota condotta a Firenze dal Centro di Riferimento Regionale per la Prevenzione e la Cura delle Complicazioni delle Mutilazioni Genitali Femminili, che sono stati presentati e approfonditi a Palazzo Giustiniani a Roma nel Convegno nazionale Immigrate e contraccezione: diritti negati”.

“Nel nostro Paese un terzo del totale delle interruzioni volontarie di gravidanza è compiuto da appena il 3,5% della popolazione – spiega il Presidente Nicola Surico -. Questa ricerca dimostra che non manca tanto la conoscenza, quanto la possibilità di accedere agli strumenti ed ai servizi disponibili. Le difficoltà sono infatti dovute in gran parte ai mancati collegamenti con le strutture sanitarie, alle difficoltà di rapporto con gli operatori, a ostacoli burocratici, allo scarso collegamento tra il Servizio sanitario nazionale e le associazioni di volontariato, alla carenza di personale formato e di mediatori culturali”.

Per prevenire queste criticità si punta l’attenzione sulle seconde generazioni: i minorenni stranieri nel nostro paese sono 932.675, di cui 572.720 nati in Italia. “Cittadini a tutti gli effetti che parlano la nostra lingua, crescono in questa realtà, fanno da tramite per la traduzione, la comunicazione, l’informazione – commenta il dr. Omar Abdulcadir, responsabile per la SIGO di quest’area e coordinatore della ricerca -. Rappresentano una risorsa insostituibile perché sono i fautori del cambiamento culturale all’interno del nucleo familiare. È a loro quindi che dobbiamo rivolgerci per avviare una vera contraccezione transculturale, una componente fondamentale della salute”. La sessualità senza prevenzione e protezione rappresenta la seconda causa di morbilità e mortalità nel mondo per le popolazioni povere ed è al nono posto nei paesi industrializzati.

La tipologia di contraccezione, la modalità di somministrazione, i tempi di avvio, gli accertamenti da eseguire devono essere personalizzati in modo da tenere presente i bisogni specifici delle migranti, garantendone nello stesso tempo la sicurezza. “È importante considerare la provenienza: ad esempio alcuni studi riportano che in Egitto i tre quarti delle donne credono che la pillola causi debolezza – spiega Abdulcadir -. Persistono miti e false credenze riguardo gli effetti della contraccezione ormonale sulla salute. È più semplice convincere e sensibilizzare le giovani, che spesso accompagnano le madri negli ambulatori e ne sono interpreti. Un problema che non si deve tralasciare è però il conflitto inevitabile tra i messaggi di libertà delle società occidentali e i valori inculcati in famiglie immigrate da paesi in cui il comportamento sessuale è regolato da norme religiose/sociali”.
“Il dialogo madre-figlia va però recuperato anche fra le italiane – aggiunge la prof.ssa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia del San Raffaele Resnati di Milano -. Secondo una ricerca da me coordinata, condotta su 1566 donne, solo il 40% delle mamme di ragazze nate dal 1985 in poi parla di contraccezione con le figlie. Inoltre la qualità del dialogo su temi importanti (religione, cinema, teatro, musica, cultura o politica), è scarsissima, mentre gli argomenti più discussi sono l’abbigliamento, il look, il parrucchiere, i cosmetici, ecc. oppure gli amori. Dobbiamo quindi cogliere questa emergenza per rilanciare un percorso inter-generazionale di qualità sulla salute riproduttiva, a partire dalla comunità ospitante”. L’investimento in educazione riproduttiva viene ripagato a breve termine sia in termini di costi personali che sociali: “Negli Stati Uniti – continua la Graziottin – è stato attivato un programma pubblico per promuovere la contraccezione fra la popolazione assistita dalla sola assicurazione sanitaria di base (Medicaid). L’inserimento di un dispositivo intrauterino subito dopo il parto ha permesso al servizio sanitario un risparmio di quasi 3 dollari per ogni dollaro speso nell’iniziativa”. Alla luce di questi dati la SIGO ritiene essenziale sensibilizzare le Istituzioni sulle specificità delle donne immigrate: non a caso il Convegno nazionale è stato ospitato dal Senato. “Le straniere che arrivano in Italia sono generalmente giovani e sane ma il loro stato può rapidamente peggiorare in considerazione di condizioni socio-economiche svantaggiate, a causa dello sradicamento culturale e di uno scarso livello di integrazione e di accesso ai servizi socio-sanitari – conclude Surico -, una situazione ancor più grave se si tratta di persone presenti nel nostro Paese in maniera irregolare. La nostra Società scientifica ha definito nella loro tutela una priorità ed ha scelto di puntare sui nuovi italiani per riuscire ad offrire ad ogni cittadino pari opportunità di salute”.