Quasi impossibile a dirsi, eppure è accaduto, in Italia, nel terzo millennio.
Donna rimane incinta dopo aver utilizzato il contraccettivo prescritto dal medico. Porta avanti la gravidanza e partorisce. E così la Corte di Cassazione condanna il medico a pagare il mantenimento del bambino “per danni da nascita indesiderata per aver prescritto un farmaco non adatto alla contraccezione”. Somma da sborsare per il danno patrimoniale: oltre 116.000 euro, che serviranno a mantenere il figlio fino alla raggiunta indipendenza economica.
Il medico, si è scoperto, aveva prescritto alla donna anziché un cerotto contraccettivo, dal momento che non avrebbe potuto portare avanti una nuova gravidanza (il compagno era disoccupato e affetto da ipoplasia midollare). Ma al posto del farmaco richiesto, le era stato prescritto un cerotto per evitare i disturbi conseguenti alla menopausa.
La sentenza ribadisce che la legge italiana garantisce ai cittadini “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile” e che questo diritto ha addirittura fondamento nella Costituzione. L’articolo 2 tutela difatti i diritti della personalità come diritti inviolabili mentre l’articolo 13 afferma l’inviolabilità della libertà personale, che si esprime anche nella libertà di ciascuno di poter disporre del proprio corpo.
Morale della favola: se il medico avesse consigliato alla donna di utilizzare l’antico e sempre valido preservativo, non si sarebbe trovato ad affrontare questa gravosa situazione. Fedele alleato della salute maschile e femminile, il caro vecchio condom, se correttamente utilizzato, previene nel 99% dei casi gravidanze e malattie sessualmente trasmesse. A meno che non si sfili o non si buchi, perché non correttamente indossato o conservato, non ci sono rischi connessi al suo utilizzo. E poi è economico, si trova ovunque e non ha effetti collaterali. Perché, dunque, ostinarsi a trovare alternative?